LUCIANO DI CAVE : MEMORIE DI UN APPASSIONATO DEL TEATRO LIRICO

Operanostalgia is happy to introduce Luciano di Cave’s first article for the website. Luciano has been a good friend since the early eighties and I’m honoured and pleased he has agreed to contribute to the site. At my suggestion he wrote his memoirs of his opera-going experiences in Rome. Other articles of great interest will follow. See also Luciano’s profile for a more personal aspect of the man.
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(Photo of Luciano di Cave –left- with Riccardo Stracciari- middle- and Otello Borgonovo in 1946)
I miei primi ricordi di una rappresentazione operistica risalgono alla metà degli anni trenta, quando avevo si e no dieci anni: quella recita ebbe luogo al Teatro Adriano, allora e per molti anni a venire, un importante tempio della lirica, forse il secondo dopo il Teatro Reale dell’Opera. Si rappresentavano I Pagliacci insieme a un’opera quasi sconosciuta, intitolata “I Capricci di Marianna”. Di questa esecuzione non conservo alcuna traccia, , se non che qualcuno affermò con convinzione che il tenore dei Pagliacci non rispondeva alle esigenze dello spartito. Una critica che mi è rimasta impressa ma  cui allora non prestai alcuna attenzione.
Forse un anno o due più tardi i miei mi portarono di nuovo al Teatro Adriano, per una recita di “Traviata”, ma questa volta alcuni particolari si fissarono più tenacemente nei miei ricordi: innanzi tutto il nome della protagonista che campeggiava sui manifesti a lettere cubitali : MERCEDES CAPSIR TANZI  e, con il suo il nome del tenore, GIOVANNI MALIPIERO. Mi sfugge il nome del baritono. La musica della Traviata certamente mi affascinò, ma fu soprattutto la presenza scenica del soprano a stamparsi nella mia mente in maniera indelebile.
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Il mio primo ingresso al Teatro Reale dell’opera lo feci nel 1938 quando mio padre, colpito dall’interesse che manifestavo ogni volta che alla radio ascoltavo “Una voce poco fa”, mi portò ad ascoltare una recita del Barbiere di Siviglia, che annoverava un cast di tutte stelle: Tito Schipa, Margherita Carosio, Carlo Galeffi, Giacomo Vaghi. Malgrado il mio interesse per i virtuosismi di Rosina, fu Carlo Galeffi quello che attrasse di più la mia attenzione.  Nel 1938 arrivò una recita di Rigoletto alle Terme di Caracalla, con Toti Dal Monte, Galliano Masini e Mario Basiola. Un ricordo generale positivo, ma non potrei entrare nei particolari.
Per qualche tempo il teatro rimase lontano dalle mie frequentazioni, ma c’era all’epoca un valido sostituto che provvedeva a rifornirci di bella musica: la radio, e, dalla radio mi arrivò la voce che costituì sempre il primo interesse per le bellezze della lirica: la voce di Lina Pagliughi. Una voce di una incredibile soavità, capace di raggiungere con facilità le vette estreme del pentagramma:  ogni appassionato di lirica entra in sintonia con la voce del suo (o sua) favorito e io non feci eccezione alla regola: ho seguito la carriera di Lina Pagliughi, anno per anno, quasi sempre da lontano, dato che le sue apparizioni a Roma non sono state molto frequenti: ogni anno speravo di vedere il suo nome sul cartellone del Teatro dell’Opera, ma, salvo una unica recita di Rigoletto alle Terme di Caracalla, nel 1938,  con Masini e Bechi, il nostro massimo teatro non si degnò mai di accoglierla sulle sue scene. Apparve, tardivamente, nel 1949, in due recite dei Puritani, chiamata in tutta fretta a sostituire Margherita Carosio, ma la sua meravigliosa Lucia rimase confinata alla Scala, al San Carlo e in altri teatri italiani. Nel 1940 la Pagliughi venne chiamata dall’Accademia di Santa Cecilia per una commemorazione belliniana, che divise con un’altra grande cantante dell’epoca, Gabriella Gatti. Il programma includeva brani dai Puritani, dalla Sonnmabula e dalla Norma: una vera festa per gli appassionati, rapiti dall’incanto di queste due voci eccezionali. Tutte e due le cantanti si trovavano allora nel loro periodo più fulgido e  quel concerto costituisce uno degli eventi più straordinari della mia vita di ascoltatore.  
   Alla fine del 1939 cominciai a frequentare da solo il teatro dell’opera e una delle prime opere che vidi fu il Trovatore, con Maria Pedrini, bravissima e un giovane, eccezionale Gino Bechi: il tenore era Francesco Battaglia, il mezzosoprano Gilda Alfano. Nel 1940, a chiusura della stagione, una recita di Traviata con Mercedes Capsir: ricordando la sua esecuzione all’Adriano, non persi l’occasione e questa volta apprezzai di più questa brava cantante, famosa per la sua interpretazione di Violetta. Il tenore era Silvio Costa Lo Giudice, il baritono un giovanissimo Tito Gobbi. Nello stesso 1940, in una stagione estiva al Teatro Brancaccio, venne annunziata un’altra Traviata, questa volta con Lina Pagliughi. Non potevo mancare e come sempre la sua voce arrivò dritta al cuore: cantava con lei il marito, Primo Montanari e il baritono Leonida Minacapelli. Le mie presenze al Teatro si facevano sempre più frequenti e nel 1942 i miei mi regalarono l’ abbonamento ad una serie di recite per una commemorazione rossiniana : il Barbiere e l’Italiana in Algeri con una impareggiabile Gianna Pederzini, la Gazza ladra con Rina Corsi, Cenerentola con una giovanissima Fedora Barbieri e un tenore dalla voce incantevole, Francesco Albanese,  il Guglielmo Tell. Quest’ultimo con Gino Bechi che fu anche eccezionale Figaro e una Gabriella Gatti in stato di grazia, che cesellò, letteralmente, “Selva opaca” da vera maestra di canto. Il tenore non fu all’altezza. La sinfonia del Guglielmo Tell, che ascoltavo per la prima volta in “diretta” mi procurò una  intensa commozione  e, forse da quel giorno, Rossini è rimasto sempre il mio compositore prediletto.
Il 1942 doveva riserbarmi una eccezionale sorpresa: nella stagione lirica estiva al Teatro Brancaccio venne annunciata “La Traviata” con Mercedes Capsir. Inutile dire che mi precipitai ad acquistare il biglietto e, quella sera, provai una delle più forti emozioni della mia vita di “melomane”. A quell’epoca, avevo 16 anni, già mi interessavo attentamente alle voci e cominciavo ad avere delle opere una conoscenza più approfondita. La Capsir era in gran voce, una voce bella, piena di ricche vibrazioni, ancora, a 45 anni, capace di un do filato e di un mi bemolle sopracuto di grande effetto. I suoi dischi non le fanno giustizia e, per come io la ricordo, la sua voce era molto più vellutata e corposa di quel che non appaia nelle incisioni. Il mio entusiasmo non conobbe limiti e si unì a quello del pubblico per una cantante che, dopo quasi trent’anni di carriera, ancora poteva presentarsi nella pienezza dei suoi mezzi. Dato il successo riportato l’impresa la scritturò per l’anno seguente, ma la sua presenza, nell’estate del ’43, venne disdetta. Il 19 luglio Roma veniva bombardata e la Capsir preferì rimanere in Spagna. La cantante che la sostituì nella Traviata fornì una prova mediocre e deludente.
   La stagione lirica 1942-43 fu quella che mi vide frequentare sempre più spesso il teatro Reale dell’opera: la guerra era in corso, ma ancora i teatri funzionavano regolarmente e i nostri artisti, esclusi dai circuiti internazionali, erano in grado di fornire in patria prestazioni straordinarie: le opere che vidi allora furono: il Poliuto   con Beniamino Gigli, Gino Bechi e una splendida Maria Caniglia che mi sbalordì per la sonorità del suo registro centrale, un organo che riempiva il teatro con una ampiezza indescrivibile, la Traviata, sempre con Caniglia, Gigli e Bechi. La Caniglia brillava soprattutto nel 2° atto. Pur  incontrando qualche difficoltà nelle finezze del “Dite alla giovane”  trionfava in “Amami Alfredo”, mentre Gigli dava tutto se stesso nella scena della borsa. La Traviata venne ripresa da Margherita Carosio che ne dette una interpretazione sentita e raffinata.  Poi la Turandot con la Cigna e Lauri Volpi e il Werther con Schipa e la Pederzini, ancora la Sonnambula con la Carosio e Tagliavini.
Ma la recita che più mi entusiasmò fu il Rigoletto che vide brillare le stelle di Gino Bechi, interprete insuperabile e di Lauri Volpi, un Duca di Mantova insostituibile. Al loro fianco una giovane promessa, Emilia Carlino, un soprano che avrebbe fatto molta strada se, in seguito,  non fosse stata insidiata da gravi disturbi cardiaci.Ricordo ancora la data esatta di questo Rigoletto (per acquistare i biglietti dovemmo presentarci al botteghino fin dalle prime luci dell’alba, in attesa fino all’apertura, ore 10 del mattino) : 21 gennaio 1943, ore 17, dato che, in tempo di guerra, gli spettacoli erano quasi sempre pomeridiani. Ci furono numerose repliche del Rigoletto, con altri cantanti, ma nessuna raggiunse il successo delle prime recite. Uno dei migliori interpreti protagonisti fu il baritono Antenore Reali e fra le Gilde voglio citare Magda Piccarolo. Filippeschi e Sinnone sostituirono Lauri Volpi.
Un’altra recita da ricordare la Bohème con Beniamino Gigli, Tito Gobbi e una incantevole Mafalda Favero.
Nelle varie stagioni liriche estive, la più importante delle quali si svolgeva al Teatro Brancaccio, s’erano avvicendati molti cantanti, alcuni dei quali, pur se considerati “di provincia” o ancora troppo giovani per essere conosciuti, erano forniti di considerevoli meriti.  Così ricordo Eleonora Visciola, buona Tosca per voce e temperamento, Enzo De Muro Lomanto, Mario Cavaradossi capace di difficili filature, Magda Piccarolo, una Gilda che prometteva molto ma, dopo la guerra scomparsa dalle scene, un giovane Giuseppe Taddei, già ottimo Rigoletto e Renato nel Ballo in Maschera, Afro Poli, eccellente Figaro, una bravissima  e giovane Adriana Guerrini e, infine il Nemorino di Ferruccio Tagliavini.  Non ricordo la data precisa, ma doveva essere nella seconda quindicina di luglio (1943), prima del bombardamento del 19. L’Elisir d’amore vedeva sulla scena Liana Cortini, soprano di voce piacevole, che prima della sua aria “Prendi per me sei libero” dichiarò di essere rimasta senza voce, e Afro Poli, baritono sempre gradito. E poi c’era Ferruccio Tagliavini in stato di grazia: il successo della “Furtiva lagrima” fu tale che dovette darne non solo il bis, ma una terza replica, in definitiva un vero trionfo. La sua interpretazione, che io reputo la migliore in assoluto del personaggio di Nemorino, richiamò un pubblico numeroso alla seconda recita, che si svolse nel pomeriggio del 25 luglio. (Liana Cortini venne sostituita dalla giovane Maria Bertozzini). Data da ricordare. Consueto successo con il bis della romanza e la promessa, fra noi del pubblico, di tornare ad una terza recita. Ma la terza recita non ci fu. Tutti sanno quello che accadde il 25 luglio ed io stesso, con i miei amici, uscendo dal teatro, notammo per la strada un’atmosfera strana, irreale. Tuttavia, dato che eravamo in tempo di guerra e eravamo abituati a tante anomalie, nessuno vi badò più che tanto. A casa poi, attraverso i notiziari radio venimmo a sapere della caduta del Fascismo.  Quel giorno, con l’Elisir d’amore, la stagione lirica del Brancaccio chiuse i battenti e l’attenzione degli italiani si spostò verso altri eventi, inaspettati e drammatici.
Il periodo 1943-44 rivoluzionò le nostre vite, ci pose di fronte a situazioni tragiche e sanguinose, ci privò di affetti cari e distacchi traumatici. Con l’occupazione di Roma i tedeschi tentarono di dare alla città un aspetto normale e, malgrado la situazione precaria della capitale, i teatri continuarono il loro lavoro:  chi ami consultare gli annuari del Teatro dell’Opera vedrà che numerosi artisti si alternarono nell’esecuzione delle opere: i nomi di Gigli (Beniamino e Rina), Caniglia, Carosio, Tagliavini, Gobbi, Giovagnoli, Schipa  e tanti altri ancora compaiono in cartellone. Molti di loro verranno poi accusati di collaborazionismo. Con l’entrata degli alleati molti cantanti ripararono al nord, Gigli dovette star lontano dalle scene per un lungo periodo di tempo, il Teatro dell’Opera vide ridursi la schiera dei suoi artisti.
Quelli che erano rimasti al di qua della Linea Gotica ebbero numerose opportunità e molti cantanti che di solito frequentavano i teatri di provincia, riuscirono a raggiungere le scene del Teatro dell’Opera. Altri che fino allora non erano riusciti a “sfondare”, approfittarono del momento. Così potemmo conoscere meglio e apprezzare Adriana Guerrini, Lucia Mero, Onelia Fineschi, Francesco Albanese, Paolo Silveri, il quale, dal registro di basso, era passato a quello autentico di ottimo baritono. Ma intanto, passata la bufera terribile della guerra, i teatri si stavano riorganizzando e, con l’Italia riunita, si rinsanguavano le compagnie dei teatri. Con la ripresa del Teatro dell’Opera ebbi occasione di sentire, in una recita di Don Pasquale, due maestri del bel canto: Tito Schipa e Giuseppe De Luca: indimenticabili! Con De Luca ascoltai anche un concerto in cui si esibì con Maria Caniglia e Beniamino Gigli, proprio nel giorno in cui venne dichiarata la fine della guerra. E fu Giuseppe De Luca stesso che venne alla ribalta per annunciare al pubblico questo evento straordinario e così sospirato.
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Intanto cominciavano ad affacciarsi voci nuove, alcune delle quali davvero considerevoli. Alcuni cantanti scomparvero dalle scene: dopo una breve, brillante apparizione sulle scene italiane Giuseppe Lugo si ritirava a vita privata. Mercedes Capsir non riapparve più in Italia e limitò alla sua Spagna gli ultimi anni di carriera. Toti Dal Monte rimase solo un nome nella storia della lirica italiana, ma già nel 1943, in una trasmissione radio dal Teatro La Fenice di Venezia, nella Sonnambula con Ferruccio Tagliavini, la sua voce era ormai soltanto un ricordo. Tito Schipa cantava ancora ma più con l’arte che con la voce, Gino Bechi sembrava aver perduto la forza e la baldanza che ne avevano fatto il numero uno dei baritoni italiani, la giovane Emilia Carlino s’era ritirata per motivi di salute, Riccardo Stracciari, il grande baritono che cantava dagli inizi del ‘900 aveva terminato la sua carriera a Como con la Traviata e s’era dedicato all’insegnamento. Lo ascoltai in due concerti nel 1945 e nel 1946, alla bella età di 71 anni, e rimasi colpito da questa voce ancora gagliarda, capace di effetti e sonorità da garnde artista.
Nel 1945 il nostro ente radiofonico che adesso si chiamava RAI e non più EIAR dette il via alla nuova stagione lirica che presentava voci collaudate e voci nuove, e, finalmente! potetti riascoltare la mia adorata Pagliughi. Questa volta nella Sonnambula, ancora in possesso di tutte le sue doti, con tanto di fa naturale nel rondò finale. Durante la guerra erano circolate voci intorno alla fucilazione, come spie, prima di Toti Dal Monte e poi della Pagliughi, voci, lo seppi in seguito, messe in giro da una amorosa collega delle due cantanti. Ci sono stati nelle file dei nostri artisti anche alcuni elementi che, pur di avanzare nella carriera, non si peritavano di spiare i loro colleghi per denunciarne eventuali passi falsi. Me ne dissero i nomi e non volevo crederci… ma chi mi riferì questa brutta faccenda diceva la verità.
Ma torniamo al dopoguerra. La stagione lirica della RAI si svolse tutta qui a Roma, al Teatro Quirino, con la partecipazione del pubblico e io non mancai uno spettacolo. Altre stagioni liriche vennero presentate a Roma sia al Teatro Argentina che al Teatro Valle e sarebbe un’impresa elencare tutti i cantanti e tutte le opere che ho ascoltato: tra gli avvenimenti più significativi la Sonnambula con la Pagliughi,Malipiero e il giovane Rossi Lemeni,  due edizioni di Trovatore con un Lauri Volpi tornato in Italia con il suo intramontabile squillo, e, sempre in questi Trovatori due Leonore d’eccezione, Maria Pedrini e Adriana Guerrini, una Cloe Elmo ancora in grande voce e, soprattutto la splendida  Ebe Stignani. Un’altra voce, questa, che ho adorato, non soltanto per la sua bellezza, ma per l’assoluta sicurezza che la cantante trasmetteva: un fiume di voce che io ho ammirato nella Norma, prima con la Caniglia, poi con la Callas e soprattutto nel Don Carlo. Ho ascoltato tante Eboli nel corso della mia vita e molte superlativamente brave, ma l’emozione che mi procurava  “O don fatale” cantato dalla Stignani non l’ho provata con nessun’altra.
Riascoltai Tito Schipa nell’Elisir d’amore, una prima volta all’Opera con Alda Noni, un’altra con la Pagliughi al Teatro Valle per la stagione lirica della Rai. Schipa cantava da oltre 35 anni e, pur con un filo di voce restava sempre un maestro di canto. Sembrava impossibile che quella voce, apparentemente esile e fragile, raggiungesse le più alte e lontane file del loggione.  E poi tornò alla ribalta Beniamino Gigli, tenuto “in esilio” per ragioni politiche.
Il Teatro Adriano riaprì per alcune stagioni estive con spettacoli di tutto rispetto e presentando cantanti di prima grandezza. Gigli lo ascoltai nell’Andrea Chenier, nel Ballo in Maschera e ne i Pagliacci: non si risparmiava e dava tutto a un pubblico che lo contraccambiava con entusiasmo, la Pagliughi, all’Adriano cantò nella Lucia, nella Traviata e nel Barbiere di Siviglia. La Pederzini e Masini si presentarono in Fedora, la Fineschi e Filippeschi e poi la Caniglia in altre edizioni di Traviata, Augusta Oltrabella fu una magnifica Iris insieme a Renzo Pigni, un tenore che avrebbe meritato maggiore considerazione,  Bechi cantò nell’Andrea Chenier, Francesco Merli, ancora in splendida voce, vestì i panni del Trovatore. Ferruccio Tagliavini e Pia Tassinari cantarono insieme nella Tosca e nella Manon di Massenet. Adriana Guerrini, che nel 1942 avevo ammirato, giovanissima, nella Tosca, interpretò all’Argentina una eccellente Madama Butterfly, Elisabetta Barbato, quasi esordiente, si mise in rilievo con il personaggio di Siebel nel Faust e iniziò una bella carriera. Assistetti ad una pallida Lucia al Teatro dell’opera, con Alda Noni e Alessandro Granda, al Barbiere con una promettente Rosina, Angelica Tuccari che poi si lasciò attrarre più dai concerti che dalla scena lirica, vale la pena di ricordare un Rigoletto che vide protagonisti Emilia Carlino, ancora sulle scene, Giacomo Lauri Volpi e il famoso baritono americano Lawrence Tibbett che arrivava forte della sua fama al Metropolitan. Tibbett costituì una delusione, della bella voce di un tempo ormai restava poco, si lodava l’interpretazione che non era da sottovalutare.
Io mi riferisco sempre alle  rappresentazioni cui ho assistito, ma decine e decine di recite si susseguivano al Teatro dell’Opera, fucina di continua attività al contrario dei giorni nostri in cui le rappresentazioni si producono col contagocce. I cartelloni vedevano alternarsi i nomi di Germana Di Giulio, Carla Castellani, Raffaele De Falchi, Ebe Stignani, Fedora Barbieri, Iva Pacetti, ancora sulla breccia, Benvenuto Franci, instancabile, Giovanni Malipiero, Paolo Silveri e tanti, tantissimi altri.
Non mancai neppure alle risorte stagioni estive delle Terme di Caracalla dove ascoltai la Traviata con Lina Aimaro e la Lucia di Lammermoor con Liana Grani, due brave cantanti che, di solito, si esibivano nell’Italia del nord. Sempre alle Terme la Norma con la Caniglia e la favolosa Stignani, un Otello con la Tebaldi e Bechi che vedeva a protagonista un Francesco Merli, grandissimo interprete.
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Nella stagione 1945-46 un nome nuovo si aggiunge a quelli famosi che il pubblico conosce da anni: è quello di un giovane tenore, Giuseppe Di Stefano, che esordisce nella Sonnambula. E’ una rivelazione, il pubblico lo elegge subito a suo beniamino e Di Stefano coglie la sua occasione quando Giacomo Lauri Volpi, scritturato per la Manon di Massenet, abbandona il palcoscenico, forse per la inesperienza, così pensava lui, della giovane Giuliana Fontanelli che rivestiva il ruolo della protagonista. Non avevo ascoltato la Sonnambula, ma non mancai alla Manon, dove, effettivamente, Di Stefano con la sua voce, allora bellissima e intatta, si impose su tutti gli altri. Mi assicurai un posto anche per la Mignon che lo vedeva al fianco di una sempre valida Pederzini (preferisco tacere sulla Filina di turno) e poi nel Rigoletto, accanto a Lina Aimaro, delicata e sensibile Gilda e a Benvenuto Franci. Un altro tenore si stava facendo avanti, questa volta nel repertorio prettamente leggero, Cesare Valletti, bene avviato, anche se non raggiunse la popolarità di Di Stefano. E poi rifulge la stella di Renata Tebaldi che canta nella Traviata e nelle Nozze di Figaro, di Mario Del Monaco che, nel repertorio più spinto, suscita lo stesso entusiasmo del suo collega “Pippo”. Ascoltai con lui un Trovatore e, sebbene abbia ammirato Del Monaco più volte, in  Andrea Chenier, Otello, Manon Lescaut, quel Trovatore mi conserva di lui il ricordo più bello: una voce fresca, squillante, aiutata da una presenza scenica brillante, davvero notevole. Vicino a lui Maria Pedrini, sempre brava e Cloe Elmo, che anni prima tanto avevo ammirato nella stessa opera a fianco di Lauri Volpi: purtroppo la sua voce non era più quella di un tempo, ma forse era già disturbata dal male che la condusse prematuramente alla morte.
Altre rappresentazioni si affacciano alla mia mete e le elenco senza rispettare la cronologia: i Puritani con la Pagliughi, Filippeschi, Tagliabue e Neroni, le uniche due recite che il Teatro dell’Opera riservò (tardivamente)  alla Pagliughi, il Mosè di Rossini con Nicola Rossi Lemeni e un’altra voce di tutto rispetto, quella di Caterina Mancini, la Francesca da Rimini con Maria Caniglia e Giacinto Prandelli, bravo ma non troppo adatto a un ruolo che richiedeva una voce più drammatica. Nel Parsifal comparve per la prima volta il nome di Maria Callas, ancora non eccessivamente in vista ( ma non assistetti a quelle recite).
Un’altra bella voce che però non raggiunse le vette della celebrità fu quella di Fiorella Carmen Forti, e poi da ricordare, quella squillante del tenore Josè Soler.
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Giacomo Lauri Volpi, che non aveva mai cessato la sua attività, si produsse nella Luisa Miller con Maria Caniglia e il sempre bravo Paolo Silveri e continuò poi con Rigoletto, Ballo in Maschera e Trovatore.
Sono tante le recite a cui assistetti anche in seguito, ma, con il passare degli anni dovetti dedicare più tempo al lavoro e alla famiglia e questo mi portò a donare al teatro lirico minore attenzione che nel passato.  Tuttavia, dato che anche mia moglie era appassionata all’opera e al canto non trascurammo del tutto il teatro e avemmo occasione di ascoltare Maria Callas nella sua prima Norma al Teatro dell’Opera. L’avevo apprezzata, e molto, in un concerto Martini e Rossi, ammirando l’estrema disinvoltura con cui passava da un’aria coloratura a una romanza drammatica. In teatro si notavano di più i vari dislivelli della voce, ma erano innegabili il suo coinvolgimento nel personaggio, la sua musicalità, la sua personalità. La ascoltai in seguito ancora nella Norma con Franco Corelli e nel Turco in Italia. Opere profondamente diverse fra loro, fattore questo che denotava ancora una volta il suo eclettismo. Seppi, da un conoscente comune, che il basso Nazzareno De Angelis s’era recato più volte nel suo camerino, ma pur lodando le qualità della cantante le aveva sempre detto: la Norma non è per lei…. La Tosca non è per lei…   il Parsifal non è per lei. Ma dunque, quale sarebbe stata,secondo il suo illustre parere, l’opera adatta a questa cantante? Per fortuna la Callas non ascoltò questi consigli (non richiesti), anche se una maggiore prudenza le avrebbe suggerito di non passare con troppa facilità da un repertorio all’altro. Ma proprio questa sua spericolatezza si impose al pubblico e il suo nome è oggi sulla bocca di tutti.
A Roma la rivalità fra la Callas e la Tebaldi era avvertita soltanto sulle pagine dei giornali, non c’erano in teatro compagnie partigiane dell’una o dell’altra cantante e le loro recite filavano tranquille, senza disturbi loggionistici. La Tebaldi si faceva ammirare per la sua voce, così bella e pura, limpida come acqua sorgiva.
Ma altre “primedonne” si avvicendavano sul palcoscenico dell’Opera e ricordo una Gabriella Tucci quasi esordiente, bravissima Margherita nel Faust. Antonietta Stella fu un’altra scoperta degli anni ’50 e ne ricordo una buona Butterfly. Gianni Poggi, Giuseppe Campora, Carlo Bergonzi, Alfredo Kraus e Franco Corelli andarono a ingrossare le file dei tenori. La voce di Corelli, all’inizio, mi lasciò perplesso. Dovevo apprezzarlo pienamente, qualche anno più tardi, quando, sotto la guida di Giacomo Lauri Volpi, eseguì trionfalmente Poliuto e Ugonotti. Giulietta Simionato stava occupando il trono che era stato della Stignani e della Pederzini, dopo anni di gavetta alla Scala.
Se dovessi elencare tutte le rappresentazioni cui ho assistito fino agli anni ’90 sarebbe necessario un libro intero: fra gli eventi più significativi la Lucrezia Borgia con una strabiliante Joan Sutherland, il Roberto Devereux con una Gencer ancora valida, ma soprattutto con due interpreti davvero significativi: Piero Cappuccilli e Anna Maria Rota, davvero brava e meritevole in seguito di ruoli più importanti. E poi Alfredo Kraus che, nel 1988, poteva eseguire un Werther di grande spessore, con una voce pressoché intatta, Mariella Devia cantante di eccezionale virtuosismo (i Puritani), Raina Kabaiwanska strabiliante Vedova allegra in una scintillante esecuzione sempre al Teatro dell’Opera.
Con il passare degli anni notai un particolare e forse non dico niente di nuovo: con il progresso dei mezzi tecnici di registrazione, avevo notato che le voci dei cantanti, ascoltate sul palcoscenico, erano tali e quali a quelle ascoltate sui dischi o sui nastri, cosa che non sempre si poteva capire con il disco a 78 giri. Infatti, salvo alcuni casi, (ad esempio la voce di Gigli e quella di Schipa rendevano benissimo), il disco non sempre riusciva a “catturare” le sfumature e le sottigliezze di una voce. Per di più molti dischi incisi durante la fine degli anni 30, fino a tutti gli anni 40, risentivano delle deficienze procurate dalla mancanza di materiali adatti, dovuti all’autarchia e ai limiti imposti dalla guerra.
Per questo, prima di giudicare un (a) cantante solo dal disco,in specie quando si tratta di vecchi dischi di incisione meccanica,  occorre valutare molti fattori. Questa parentesi era necessaria, perché, per forza di cose, non è possibile ascoltare “tutti” i cantanti che si avvicendano sulle scene e allora si ricorre alla musica registrata. Oggi è possibile farsi di un artista un’idea molto più esatta chenel passato.
Per restare nel campo discografico voglio dire che nel 1966 partecipai, alla RAI, alla mia prima trasmissione radiofonica, intitolata Discoteche private, e a quella ne seguirono molte altre. Ricordo con particolare piacere quelle dedicate a “Voci e personaggi”, a cui presero parte, con me, Lina Pagliughi e Primo Montanari, Benvenuto Franci e Nicoletta Panni, Teresa Berganza e Sesto Bruscantini, Attilio D’Orazi e Elda Di Veroli, una brava cantante che aveva svolto un’ottima carriera negli anni 20 fino alla metà degli anni trenta (nel lontano  1921 aveva tenuto a battesimo Giacomo Lauri Volpi nel suo debutto ne  “i Puritani”). La trasmissione di “Voci e personaggi” incontrò un grande successo e molti collezionisti di dischi parteciparono insieme a famosi cantanti. 
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   Potrei scrivere ancora, ma questo articolo non avrebbe mai fine. Ci sono stati dei cantanti che per varie ragioni o sfortunate combinazioni non ho potuto ascoltare, ma alla fine, il mio bilancio è soddisfacente. Ho ascoltato tante, tantissime belle voci ma, quando ascolto i giovani, spero sempre di scoprire nuovi talenti. E qualche volta questo caso fortunato si è verificato. Si è spesso parlato di crisi del bel canto, di assenza di grandi voci o di artisti carismatici. Questa voce già circolava ai primi del novecento quando si temeva che l’influsso verista avrebbe pregiudicato per sempre il destino dell’opera. Ma questo non si è verificato e nuovi e valorosi artisti si sono sempre avvicendati sulle scene di tutto il mondo. Andiamo avanti, fiduciosi.
Un cordiale saluto a tutti gli amanti della lirica
Luciano di Cave